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Alberto Fiz
intervista a
Giuseppe Panza di Biumo
"La bicicletta simboleggia
la dimensione mentale dell'arte. È l'idea del tempo in
movimento". Così Giuseppe Panza di Biumo, uno dei
maggiori collezionisti al mondo, spiega il significato metaforico
della bicicletta in base a una proiezione che supera il condizionamento
del presente, come emerge dalla celebre Ruota di bicicletta di
Marcel Duchamp. Del resto, l'arte è sempre stata affascinata
dalla ruota secondo un percorso che potrebbe partire dalla cultura
induista per giungere sino al XXI secolo.
Una testimonianza emblematica arriva proprio da quella grande
ruota di oltre cinque metri di diametro collocata nella Scuderia
di Villa Menafoglio Litta Panza. Si tratta di Desire, la scultura
dell'artista americano Martin Puryear che Giuseppe Panza di Biumo
ha acquistato nel 1990. "È un'opera emblematica",
spiega Panza, "in quanto è in grado di porsi in totale
sintonia con il ciclo vitale della natura". Desire, dunque,
potrebbe essere considerato il coronamento di una mostra, L'Arte
della bicicletta che presenta, per la prima volta, nello splendido
scenario della Villa, artisti quali Arman, Joseph Beuys, Cèsar,
Ettore Colla, Fausto Melotti, Panamarenko, Gianni Piacentino,
Michelangelo Pistoletto, Mimmo Rotella e molti altri, in grado
di creare una relazione dialettica con le opere della collezione
permanente dove spiccano (solo per fare qualche nome), oltre
a Martin Puryear, Dan Flavin, James Turrel, Peter Shelton, Robert
Therrien, Ford Beckman, Thomas Schutte, Ettore Spalletti, Lawrence
Carroll, Allan Graham e Max Cole.
Alberto Fiz. Ci sono oggetti che hanno una vita
limitata nel tempo e poi svaniscono nel nulla. Altri che sono
identificabih esclusivamente con un'epoca. La bicicletta, invece,
fa eccezione e percorre trasversalmente tutto il '900 affascinando
artisti di stili e tendenze diversi. Qual è la ragione
di un legame così particolare con le due ruote?
Giuseppe Panza di Biumo. Credo che la specificità
della bicicletta stia nel rapporto con la dimensione temporale
e quindi mentale dell'arte. È testimone di una ricerca
che non si lascia imbrigliare dallo spazio ma si pone l'obiettivo
di superare il condizionamento del presente. Del resto, non va
dimenticato che la ruota è sempre stata un simbolo fondamentale
sin dai tempi dell'antica cultura induista quando comparve davanti
ai templi come simbolo della vita e dello scorrere del tempo.
Ma in tutta la tradizione indoeuropea compare la ruota intesa
in chiave metaforica come continuità di un'esistenza che
si concludeva con l'Illuminazione.
A.F. Un discorso questo che trova una serie di rispondenze
con l'arte del '900 quando Marcel Duchamp, nel 1913, affida alla
Ruota di bicicletta il compito di aprire la strada a una nuova
concezione dell'arte.
G.P. Il fatto che proprio la Ruota di bicicletta sia il
primo ready made della storia non è un fatto casuale.
Per Duchamp la ruota ha una chiara allusione con la vita, il
tempo e la sessualità intesa come rigenerazione. Il maestro
francese è la figura più importante dell'arte moderna
e proprio attraverso la Ruota di bicicletta dimostra che il compito
dell'artista non è quello di eseguire manufatti bensì
di pensare. Questa è la lezione del '900 come ha dimostrato
proprio lo sviluppo della cibernetica e di internet, inteso come
sapere globale.
A.F. La bicicletta non interessa solo Duchamp ma coinvolge
anche il futurismo e le avanguardie russe.
G.P. La bicicletta è l'idea del tempo in movimento
e nessun altro movimento lo ha compreso meglio del futurismo.
Se Dinamismo di un ciclista di Umberto Boccioni è un capolavoro
straordinario, non si possono dimenticare le ricerche sul dinamismo
di Giacomo Balla dove le ruote o le semiruote che compaiono nelle
sue composizioni astratte sviluppano un principio dinamico che
non è identificabile con un mezzo di trasporto ma coinvolge
la componente spirituale.
A.F. Sebbene Filippo Tommaso Marinetti avesse affermato
"un'automobile da corsa è più bella della
Vittoria di Samotracia", la macchina, con il passare del
tempo, perde parte del suo appeal e gli artisti tendono a sostituirla
con oggetti meno connotati.
G.P. Credo che la bicicletta, almeno dal punto di vista
artistico, abbia vinto la sua gara con la macchina. Ciò
è dovuto al fatto che l'auto è troppo artificiale
e invadente, mentre la bicicletta ha un rapporto fisico con la
persona e assume, per questo, una precisa connotazione di ordine
psicologico. La bicicletta ha saputo liberare l'individuo dalla
difficoltà di muoversi e tale componente ha avuto ampi
riflessi sull'arte che ha sempre teorizzato la libertà
dell'individuo.
A.F. La libertà dell'individuo ma anche la libertà
delle forme. In questa mostra la bicicletta è davvero
un oggetto in continua trasformazione. Basti pensare a Melotti,
Colla, Pistoletto, Panamarenko o Piacentino.
G.P. Per taluni artisti il riferimento alla bicicletta
può rappresentare un incontro casuale. Per altri, invece,
è qualcosa di più. Come accade per Panamarenko
con le sue macchine fantastiche che potrebbero essere paragonate
a invenzioni leonardesche o per Piacentino, un artista che apprezzo
molto, che con il sofisticato uso della tecnologia crea mezzi
atecnologici e neometafisici a metà strada tra aerei,
macchine e biciclette.
A.F. Quali sono i suoi ricordi della bicicletta?
G.P. Sono legati all'idea di gioco e di libertà.
La usavo molto negli anni di guerra. Allora studiavo giurisprudenza
all'università e ricordo che ogni giorno alle 6.30 del
pomeriggio lasciavo i libri per salire con la mia bicicletta
al Sacro Monte di Varese.
A.F. Qual era la marca della sua bicicletta?
G.P. Una Bianchi.
A.F. Ma lei a quei tempi tifava per Coppi o Bartali?
G.P. Ero un bartaliano moderato. Lo sport, a dire il vero,
mi è sempre interessato poco.
A.F. Prima ha accennato al fatto che la bicicletta è
legata al gioco. Per quale ragione?
G.P. Mi riferivo al mio velocipede ereditato da un mio
zio di Varese. Con quello strano mezzo con una ruota più
grande davanti e una più piccola dietro mi divertivo ad
andare a Varese inseguito da altri miei coetanei. Oggi quel cimelio
l'ho donato al FAI che ha provveduto a restaurarlo.
A.F. Ma gli incontri con la bicicletta appartengono anche
alla sua esperienza colle-zionistica.
G.P. L'uso dell'oggetto in arte mi ha sempre interessato
soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta quando ho iniziato
a collezionare le opere della Pop Art. Una vera e propria bicicletta
d'artista non l'ho mai avuta ma, all'inizio degli anni Sessanta,
acquistai una provocatoria scultura di Robert Rauschenberg, Gift
for Apollo, sistemata su quattro piccole ruote. Quell'opera del
1959 che ora appartiene al MoCA, The Museum of Contemporary Art
di Los Angeles, mi affascinò in quanto l'artista americano
era riuscito simbolicamente a sottrarre la scultura dal suo piedistallo.
Rauschenberg è un artista che basa il suo lavoro sulla
metafora combinando oggetti diversi legati dal filo rosso della
memoria. Una memoria che inevitabilmente passa anche attraverso
la bicicletta.
A.F. A parte Rauschenberg, nella Scuderia della Villa
a Biumo è sistemata Desire del 1981, una grande ruota
dell'artista americano Martin Puryear che potrebbe davvero rappresentare
il punto d'arrivo di questa mostra L'Arte della bicicletta.
G.P. Forse non è un caso che proprio questa rassegna
trovi una collocazione a Biumo. In effetti, il lavoro di Puryear
rappresenta probabilmente la più grande ruota mai realizzata
dal momento che ha un diametro di cinque metri che s'inserisce
in un elemento fis-
so di sostegno. Si tratta, poi, dell'opera più costosa
esposta in Villa. L'ho comprata nel 1990 per 60 mila dollari
alla Young Gallery di Chicago e oggi ha un valore non lontano
dal milione di dollari.
A.F. Un prezzo esorbitante...
G.P. Questi sono i valori del mercato internazionale per
il più importante artista nero contemporaneo. Martin Puryear,
nato a Washington ma di origine africana, è uno dei maggiori
scultori del dopoguerra. Il suo lavoro ha la capacità
di porsi in totale sintonia con la natura cogliendone il ciclo
vitale. Nel caso di Desire, per esempio, la ruota è tutta
di legno e non compare nessun elemento segato meccanicamente.
Viene rispettata ogni singola venatura trovando una perfetta
sintonia con i misteri della vita naturale. La ruota, in fondo,
come la bicicletta, è il simbolo del tempo, del cambiamento
ma anche del continuo ritorno in un percorso che va dalla cultura
induista sino a Martin Puryear. |
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